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domenica 23 dicembre 2012

Il Grande Bluff (1/2)

Ed è giunto finalmente il momento di sciogliere il riserbo sul grande tema storico contenuto nel mio romanzo, ovvero come si concluse l'assedio romano a Neapolis nel 326 a.C.
In questo e nel prossimo post riporterò i due passi di Tito Livio che danno una versione dei fatti abbastanza vicina alla realtà, sebbene non del tutto convincente. Mi riserbo di illustrare in post futuri quali sono le conclusioni alle quali sono giunto sulla base delle fonti consultate.
Cominciamo dunque da Ab Urbe Condita, VIII, 25:
Lo stesso anno venne celebrato a Roma un lettisternio - il quinto dalla fondazione della città -, per propiziare il favore degli stessi dèi invocati nelle precedenti occasioni. Poi i nuovi consoli (Gaio Petelio e Lucio Papirio Mugillano, n.d.r.), su ordine del popolo, inviarono i feziali a dichiarare guerra ai Sanniti; questi ultimi non solo stavano compiendo i preparativi per il conflitto con un impegno ben più massiccio di quanto non ne avessero profuso nella campagna contro i Greci, ma ricevettero anche nuovi rinforzi da una parte alla quale in quel momento i Romani non avevano affatto pensato.
Lucani ed Apuli, genti che fino a quel momento non avevano avuto nulla a che vedere con il popolo romano, si misero sotto la loro protezione, promettendo armi e uomini per la guerra. Di conseguenza venne loro concesso un trattato di alleanza. Nello stesso periodo i Romani condussero una fortunata campagna nel Sannio. Tre città, Allife, Callife e Rufrio, caddero in loro potere, mentre il resto del territorio venne saccheggiato in lungo e in largo non appena arrivarono i consoli.
Portata a compimento così felicemente questa guerra, anche l'altra, l'assedio contro i Greci, era ormai quasi alla fine. Infatti non solo una parte dei nemici aveva perso ogni collegamento con l'altra a causa delle opere di fortificazione costruite in mezzo dai Romani, ma all'interno delle loro stesse mura stavano succedendo cose ben più preoccupanti delle minacce degli avversari: quasi prigionieri dei loro alleati, dovevano ormai sottostare agli oltraggi rivolti anche contro i figli e le mogli, e soffrire tutti gli orrori delle città conquistate.
Mappa di Parthenope e Neapolis rispetto alla disposizione attuale della città di Napoli

Parthenope (in basso) e Neapolis (in alto, a destra) rispetto alla disposizione attuale della città di Napoli. Fonte: Wikipedia.

E così, quando arrivò la voce che da Taranto e dai Sanniti sarebbero arrivati nuovi rinforzi, pensavano di avere all'interno delle mura più Sanniti di quanti non ne volessero. In quanto Greci, invece, non vedevano l'ora che arrivassero i giovani greci di Taranto, con il cui apporto avrebbero potuto resistere non tanto ai Sanniti e ai Nolani quanto ai nemici romani. Ma alla fine sembrò che la resa ai Romani fosse il male minore.
Carilao e Ninfio, i personaggi più in vista della città (principes civitatis nell'originale, n.d.r.), dopo essersi consultati tra di loro, si divisero le parti per mettere in pratica il piano convenuto: uno di essi si sarebbe recato dal comandante romano, l'altro si sarebbe fermato a predisporre la città all'esecuzione del piano. Fu Carilao che si presentò a Publilio Filone e, pregando che la cosa portasse vantaggio e prosperità a Paleopoli e al popolo romano, annunciò di aver deciso di consegnare le mura della città. Sarebbe poi dipeso dal senso di lealtà dei Romani se, a fatti compiuti, egli sarebbe apparso il traditore o il salvatore della città.
Quanto a sé come privato cittadino, egli non patteggiava né chiedeva alcunché. A nome della sua gente chiedeva - più che patteggiare - che, qualora l'impresa fosse andata a buon fine, il popolo romano considerasse con quanto sforzo e a prezzo di quali rischi gli assediati fossero tornati in amicizia con Roma, piuttosto che ricordare quale follia e quale temerarietà li avesse distolti dal proprio dovere.
Ricevute le congratulazioni del comandante, ottenne tremila uomini per riconquistare la parte di città presidiata dai Sanniti. A capo del contingente armato venne posto il tribuno militare Lucio Quinzio.
Chi ricordi un minimo delle guerre sannitiche, avrà notato la quantità di inesattezze con le quali Livio farcisce il suo resoconto: “Portata a compimento così felicemente questa guerra” scrive il padovano a proposito di una piccola campagna estiva di saccheggio nel territorio Sannita, alla vigilia di quella che sarà la disfatta delle Forche Caudine.
D'altro canto, l'autore sembra anche preoccuparsi di fornire una giustificazione per il tradimento operato da parte dei Neapolitani nei confronti dei Sanniti (ché tale ci appare fino ad ora).
Ma dobbiamo ancora aspettare il prossimo post e le considerazioni che ho tratto dal confronto con altre fonti per avere il quadro completo. Chiudo pertanto il post con il consueto arrivederci a presto.

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