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sabato 4 aprile 2015

La Cavalleria a Roma

Dopo il post di sabato scorso, cominciamo a confrontare le diverse forze che incontreremo nel romanzo I signori dei cavalli, partendo da coloro che infine riuscirono vincitori dal conflitto: i Romani.
I signori dei cavalli ha come motivo portante la ricerca e la riscoperta della cavalleria, ed è stato sorprendente trovare episodi che sembrano presi dalle chansons de geste piuttosto che da autori classici, come le sfide a duello in singolar tenzone, con tanto di lancia, tra cavalieri romani e capuani.
Ma prima di addentrarci in tali stranezze, è bene fare un quadro chiaro della cavalleria all'epoca dei fatti narrati: quanto era importante negli eserciti? Che ruolo aveva? Chi erano i cavalieri?

Moneta romana al tempo della seconda guerra punica o immediatamente successiva (210–175 a.C.) che mostra sul recto il dio Marte con barba ed elmetto corinzio crestato e sul verso probabilmente la prima immagine di un cavaliere romano di epoca repubblicana con la dizione (L)ADINOD. Da notare l'elmo con pennacchi di crine di cavallo, una lunga lancia (hasta), un piccolo scudo (parma equestris) e un mantello fluttuante. Quincunx di bronzo della zecca di Larinum.
Fonte: Wikimedia Commons, licenza Creative Commons 3.0

Alessandro Magno aveva fatto della cavalleria un'arma temibile, prodigiosa, temuta per velocità, precisione e potenza, anche sulla scorta degli scritti di Senofonte, già citati nel post di sabato 28 marzo.
Ma, come spesso accade, è solo la necessità che spinge all'uso di una certa tecnica, e lo stesso può dirsi dei Romani. Fino alla Seconda Guerra Punica, i Romani non avevano quasi mai avuto la necessità e la possibilità di trarre giovamento dall'uso sistematico di una cavalleria da guerra: la loro esperienza, formatasi perlopiù nelle lunghe guerre Sannitiche lungo l'impervia catena degli Appennini, era enorme nella fanteria, tant'è vero che le prime vittorie navali contro i Cartaginesi sono attribuite al corvo, un artilugio per far trasformare le battaglie da navali a campali, annullando in tal modo qualunque vantaggio dell'esperienza punica sull'acqua.
Ma la cavalleria era un'altra cosa. Non ancora giunti alle leggi di Gracco del 123 a.C., che ne faceva una classe sociale a parte stabilita dal censo, la figura dell'eques a Roma durante la prima Repubblica aveva sì alcunché di nobiliare, perché già Romolo aveva stabilito l'esistenza di tre centurie di cavalieri nell'esercito. I re successivi ampliarono questo numero con cittadini e alleati, ma non si diventava cavalieri dall'oggi al domani.
Il cavallo poteva essere fornito dallo Stato che ne pagava anche il sostentamento, a patto che la bestia fosse trattata adeguatamente o i censori avrebbero potuto toglierla all'affidatario e chiedere i danni!
Nel frattempo, anche alcuni cittadini più facoltosi cominciarono a chiedere di prestare servizio nell'esercito a cavallo, a proprie spese, e fu questo che spianò la strada alla riforma di Gracco.
In parole povere, quando Annibale cala in Italia nel 216 a.C., a Roma la cavalleria è alcunché di sommamente indefinito: in parte nobiliare, in parte per ricchi, quasi un vezzo.
Se vogliamo comprendere la reale consistenza militare della cavalleria romana dobbiamo però valutare il numero di cavalieri che Roma chiede di volta in volta agli alleati e il ruolo di questo corpo. Il resoconto delle prime battaglie contro Annibale è esemplare, al riguardo.
  • Nel 218 a.C. Publio Cornelio Scipione si scontra con Annibale sul Ticino: la sua cavalleria di 3'100 cavalieri è composta da 1'200 romani, 1'600 alleati e 300 Galli.
  • Poco dopo è il suo collega Tiberio Sempronio Longo ad affrontare il Punico sul Trebbia. Le forze romane contano 4'000 cavalieri, tra i 16'000 e i 18'000 fanti romani e 20'000 fanti alleati (socii), più un contingente di entità sconosciuta di galli Cenomani.
  • Nel 216 a.C., a Canne, due consoli, con un esercito forte di 86'000 uomini di cui 75'000-80'000 fanti, 2'400 cavalieri romani e 3'600 cavalieri alleati (8 legioni romane e 8 di alleati), viene ulteriormente spazzato via da Annibale.
Prima ancora di analizzare i motivi di queste sconfitte, che pure hanno a che vedere con l'attitudine dimostrata dai Romani nei confronti della cavalleria fino a questo momento, è bene osservare il bilancio delle forze tra fanti e cavalieri in questi eserciti: a fronte di numeri comparabili di fanti tra Romani e alleati (nel peggiore dei casi 16'000 Romani e 20'000 alleati sul Trebbia), i Romani hanno una cavalleria sempre poco nutrita (a Canne, dove i numeri sono chiari, ogni legione romana di 5'000 fanti è accompagnata da 300 cavalieri, proprio come nell'ordinamento tramandato dai tempi di Romolo, mentre ciascuna legione alleata è accompagnata da 450 cavalieri!)
Altre fonti, più dirette, confermano che effettivamente questo era il caso con l'esercito romano. Dopo Canne, Terenzio Varrone, il console ritenuto dagli storici il responsabile della disfatta, parlò con gli alleati campani recatisi da lui, in un primo momento per vedere se potevano assisterlo in qualcosa, e questi disse loro:
Trentamila fanti e quattromila cavalieri possono essere arruolati in Campania, credo.

[Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXIII, 5]

ovvero, sette-otto fanti per ogni cavaliere. Nell'esercito romano la proporzione era di quasi diciassette fanti per ogni cavaliere!
Quali potevano essere i motivi per una simile disparità nella composizione dell'esercito? Innanzi tutto, la tradizione: l'esercito romano non era costituito in falangi, è vero, ma lo scontro restava essenzialmente uno scontro di fanteria, che i Romani avevano organizzato in manipoli per affrontare meglio le guerre contro i Sanniti, dai quali avevano appreso questa tecnica.
Poi il terreno degli scontri, che sempre a causa delle lunghe guerre contro i Sanniti era stato soprattutto montuoso, dunque poco adatto agli scontri di cavalleria.
Il risultato è facilmente confrontabile e verificabile con le battaglie di questo e altri periodi, come Canne, dove il classico schieramento Romano viene puntualmente descritto in azione: la battaglia è soprattuto di fanteria, mentre la cavalleria protegge i fanti sulle ali, impedendo al nemico di colpire l'esercito sui due lati scoperti (nonostante la struttura manipolare, i lati dello schieramento erano esposti agli attacchi del nemico). Inoltre la cavalleria impedisce la fuga al nemico sbandato, impedisce l'accerchiamento dell'esercito, protegge la ritirata, è di supporto in tutte le operazioni che richiedono rapidità, va in avanscoperta, ma non ha nell'esercito romano una propria valenza militare autonoma.
Esercito consolare polibiano III sec a.C.

Schieramento di un esercito consolare romano del III sec. a.C. secondo la descrizione di Polibio.
Fonte: Wikimedia Commons

Proprio per questo, quando i Romani vogliono una cavalleria all'altezza del compito impartitole, si affidano agli alleati, ai socii, in maniera in fondo non molto dissimile da quanto anche Annibale fece, ma similitudini e differenze tra la cavalleria romana e quella annibalica potremo farle meglio la settimana prossima, quando avremo introdotto ulteriori dati.

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