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domenica 14 aprile 2024

Kapu e il Kampanon

I luoghi di Kapu - Racconti della Caduta indicati dalla Tabula Peutingeriana.

Il titolo non tragga in inganno: Kapu - Racconti della Caduta non incentra la propria attenzione sulla sola Capua.
Il Kampanon, quella che per i latini era la Campania Felix, era una terra ricchissima, la terra di un popolo orgoglioso e fiero. Persino il console Terenzio Varro, nell'immediatezza della disfatta di Canne, fa un rapido calcolo dell'esercito che Kapu avrebbe potuto mettere a disposizione di Roma.
“Dovreste proseguire questa guerra in vece nostra” si avventura a dichiarare il magistrato all'ambasceria che lo ha raggiunto a Venosa. “In Campania potrebbero essere arruolati trentamila fanti e quattromila cavalieri”, esorta, secondo Tito Livio.
Sono numeri importanti, soprattutto alla luce di come era composto un esercito romano, e della fama dei cavalieri campani.
Di fatto, il titolo di Neapolis - I Signori dei Cavalli era giustificato proprio dall'importanza della cavalleria campana per l'esercito romano, e parte della difficoltà di Roma nello sconfiggere Annibale durante la Seconda Guerra Punica si deve proprio alla defezione di Capua, la cui cavalleria sarebbe stata un più che valido antagonista per la cavalleria numidica del cartaginese, che era sì nutrita (circa diecimila effettivi), ma leggera.
I cavalieri campani erano di altra pasta: erano pari agli equites romani e spesso gareggiavano con loro in valore e capacità (in Kapu - Racconti della Caduta sono riportati alcuni episodi di tale rivalità), ma nelle parole del console Varro troviamo la più sincera ammissione dell'importanza della cavalleria campana: “trentamila fanti e quattromila cavalieri”.
Sono numeri bizzarri, per un console, perché un esercito consolare era tradizionalmente composto da due legioni, ciascuna con circa 4200 fanti e seicento cavalieri romani. Varro chiese pertanto ai campani il supporto di almeno tre eserciti consolari!
Ma restiamo alla carta pubblicata più su e leggiamone i nomi, alcuni riconoscibili, altri meno: Capua, Puteolis, Atella, Suessula, Nola, Nuceria, Calatie, Beneventum, Herdoniae, Iovis Tifatinus, Castra Annibalis, Ad Diana, Telesie, Geronum, Casilinum, Cale, Casinum, Cuma, Literno, Vulturno, Sinuessa. E questi sono solo i luoghi presso i quali si svolgono alcune azioni del volume!
Nel volume vengono citate altre località (Argirippa, Canne ovviamente, Acerrae, Hamae, Cominium Ocritum, Saticula e altre ancora) che in questa carta non appaiono.
Delle località raffigurate, solo poche sono realmente scomparse, altre hanno cambiato nome: Capua è oggi Santa Maria Capua Vetere, Casilinum è Capua, Calatie è Maddaloni, Ad Diana è Sant'Angelo in Formis; il non indicato Cominium Ocritum è oggi Cerreto Sannita e Saticula è nel territorio della maestosa Sant'Agata dei Goti!
In tutte queste località s'è fatta la storia di un tempo, ma sebbene ai nostri ragazzi venga insegnato dell'arrivo di questo incredibile generale che fu Annibale, ben poco gli viene detto che calcò questi luoghi, e meno ancora gli viene detto di come ne fu impressionato!
Io ne sono rimasto meravigliato, mentre leggevo i classici, e un piccolo sogno mi si è destato: poter presentare l'opera che sarebbe nata da questa mia ricerca in ciascuna delle località menzionate.
Poche cose, infatti, sono potenti come il sentimento dell'eredità storica, al punto di renderla un sentimento persino molesto, nelle mani sbagliate: quante volte disturba la vanagloria di chi si bea delle glorie del passato senza aver mai realizzato granché?
Kapu - Racconti della Caduta nasce con questa pretesa: dare un motivo di orgoglio sano e fondato a tutte queste località presso le quali è stata la fatta la storia di un'epoca.
Perché quando Annibale giunse per la prima volta nella pianura campana, ne rimase così impressionato che…
Eh, no! Se volete saperne di più, dovrete aspettare il prossimo post, e se vorrete sapere tutta la storia, la racconto in Kapu - Racconti della Caduta.

domenica 1 ottobre 2023

Si Ricomincia in Libreria!

Dopo diverso tempo senza aggiungere contenuti, torno su queste pagine per un evento inaspettato quanto lieto: i volumi di Neapolis sono stati invitati a contribuire alla mostra a tappe Euploia - Revealing the origin of Parthenope, organizzata da Materia Viva, e visitabile tra il 4 e il 21 ottobre presso la Cappella Vecchia, la Rampa Caprioli, Pizzofalcone, via Nicotera su Monte Echia, a Napoli (naturalmente).
Logo della mostra itinerante Euploia - Revealing the origin of Parthenope

Logo della mostra itinerante Euploia - Revealing the origin of Parthenope

Presso la Feltrinelli, tra i (certamente) innumerevoli e preziosi volumi su Parthenope, è stata allestita una vetrina coi miei!
Vetrina della Fenltrinelli in Piazza dei Martiri a Napoli. In esposizione, i volumi di Neapolis.

Vetrina della Feltrinelli in Piazza dei Martiri a Napoli. In esposizione, i volumi di Neapolis.

È piacevole essere contattati in questo modo e per simili iniziative, e spero di potervi dire di più a breve. Per ora condivido la mia soddisfazione.
In cosa sono stato occupato in questi due anni? È stato un periodo difficile, molto, a livello personale e letterario. Ho cercato di progredire su quest'ultimo fronte come dimostra la serie di racconti brevi che ho pubblicato, soprattutto su BraviAutori. Ma il mio interesse per Neapolis e Parthenope non è scemato, anzi: al contrario sono andato a fondo della leggenda e della storia, e ho scoperto ancora una volta un mondo insospettabile, che spero di poter portare alla luce nel prossimo, terzo volume.
E siccome ho scoperto cose che mettono in discussione la percezione classica delle divinità greche, le loro origini, il loro significato, la mia ricerca ha coinvolto anche i primi due volumi, con aggiustamenti marginali ma che dovranno essere apportati per la coerenza dela trilogia.
E Kapu - Racconti della Caduta. Non mi è stato possibile pubblicarlo per mancanza di risorse. Inutile girarci intorno, il mondo nel quale viviamo va così, e “senza soldi non si cantano messe”.
Sto cercando soluzioni creative per poter pubblicare, delle quali vi terrò al corrente a tempo debito, ma per me sarebbe assai confortante ricevere un segno di supporto da parte dei lettori. Potete lasciarlo nei commenti a questo post.
A rivederci presto!

venerdì 15 gennaio 2021

Perché Neapolis

Scrivere è sempre stato per me uno svago e un intrattenimento personale, alle volte dormiente per lungo tempo, altre volte ridicolizzato dalle opinioni altrui, ma sempre tornato con prepotenza a costringere la mia penna sul foglio.
Né nascondo che, in un secondo tempo, terminato il furor, l'estro, il momento creativo tutto personale, fa piacere immaginare che quanto scrivo possa essere apprezzato e condiviso da altri. Non è vanagloria, ma autentico piacere di comunicare, perché noi umani siamo animali sociali, e per quanto in alto possiamo raggiungere le nostre vette, si riducono a nulla se non siamo in grado di raccontare l'impresa a nessuno.
Ma quando decisi (ormai tanti) anni fa di cominciare a scrivere di Neapolis, feci una scelta lucida e razionale: volevo un filo conduttore che potesse imbrigliare con un motivo potente, continuo, inesauribile, la mia voglia di scrivere, e la storia di Napoli è tutte queste cose; ero all'estero, e prima di allora il mio particolare legame con Napoli non si era fatto sentire così prepotente perché, ammetto di aver peccato anch'io di questo peccato assai comune, la mancanza è (sembra banale) il sentimento di ciò che manca e, come dice la canzone “luntano 'a Napule nun se po' sta'”.

Il Castel dell'Ovo, sull'isolotto di Megaride, sullo sfondo del Vesuvio. Il primo approdo dal quale è nata Napoli.
Foto di Mirko Bozzato, © 2020.

C'era poi la mia maturazione: la circostanza di risiedere all'estero mi stava dando l'opportunità di conoscere, assumere, apprezzare altri modi di vivere e pensare che ribaltavano tanti preconcetti che avevo. Quei sospirati “deve poter esserci un altro modo per fare le cose” cominciavano a trovare conferma della loro esistenza, e non si trattava di idee balzane o surreali, ma di incombenze quotidiane come può essere la semplice domiciliazione bancaria, nel 2002!
Immaginate: io, originario di un ambiente e una cultura che millantano il primato della furbizia e dell'astuzia (nei casi più deleteri, a scapito degli altri), ricevevo conferma che, sebbene quelle qualità siano indispensabili in tempi di necessità, altre sono indispensabili per vivere come tanti dicono solo di voler fare, prigionieri di una mentalità miope che gli fa percepire il vantaggio a corto termine come l'unico meritevole di essere conseguito.
Dove nasce quest'atteggiamento in noi meridionali? L'argomento è ormai diventato campo di battaglia ideologica e io non amo quel genere di contesa, perché pugnandola non si arriva da nessuna parte. Né le cose sono migliorate col tempo: nel corso di due decenni siamo passati dal terronismo al leghismo, al neoborbonismo, e ora al risorgimentismo, tutti modi di pensare più o meno diffusi a diversi livelli perfino della cultura, tutti accomunati da un interesse morboso per l'annessione armata del Regno delle Due Sicilie a quello di Sardegna. Fu impresa eroica? Fu salvataggio da un'invasore? Furono massacri, saccheggi e spoliazione? Mentre i social rilanciano giorno dopo giorno ora l'uno, ora l'altro punto di vista (come se la Storia fosse opinabile), la querelle mi infastidisce, mi irrita nell'attesa che voci autorevoli mettano fine a una diatriba inutile!
Sì, inutile: potrei capire se i meridionali di oggi, facendo tesoro della lezione cha la storia ha dato loro, dimostrassero di saper impiegare quelle virtù tante volte decantate per il bene della loro terra, ma a me non pare che il mezzogiorno sia questo crogiuolo di imprenditori, di idee, di consorzi, di mutua assistenza, di rivalutazione del territorio, di innovazione che sono la base per affrontare le sfide del XXI secolo! Eppure, qualcosa dentro di me diceva che quelle caratteristiche erano sopite ma non cancellate in ciascun mio conterraneo. E allora?
Allora vidi che rivangare quell'unico momento nella Storia al quale tanti attribuiscono ogni rovina possibile e immaginabile era sciocco: se avessi scritto storie del tempo di Garibaldi, l'evento storico avrebbe preso il sopravvento, nel migliore dei casi avrei potuto scrivere di tradimenti, congiure, corruttele, intrighi… Io volevo al contrario esaltare l'estro, il genio, il senso dello Stato. Invece di perdermi in polemiche, volevo che ciascun meridionale cominciasse a cercarli dentro di sé.
Ma per farli cercare, dovevo prima trovarli io stesso, e dove? Questa è la domanda alla quale cercai di rispondere facendo quello che faccio normalmente per mestiere: ricercare. E fu così che cominciai come a scuola, dalla storia antica, e dalle nebbie del mito emerse un mercato di coloni greci, isolati dalla madrepatria e separati da un entroterra ostile, orgogliosi di una protezione mitica, quella della Sirena Parthenope.
Napoli è una città che ha sempre avuto un rapporto molto particolare con la fantasia, il sacro, l'esoterico, il soprannaturale, spesso miscelati in forme sconcertanti e mirabolanti allo stesso tempo, e da quell'elemento mi sono lasciato guidare, l'ho scelto come filo conduttore del mio scrivere perché spesso la spiegazione più semplice, sembra strano ma, più comprensibile per eventi pur storicamente accertati, è l'intervento di alcunché di trascendente alla natura umana.
E quell'alcunché di trascendente, con la sua superiorità, spiega e istruisce allo stesso tempo: è a esso che si ispira il nostro senso di giustizia, del dovere, dell'amore. Le nostre virtù sono riferite a qualcosa che non è umano ma è solo un concetto, un'astrazione, un ideale perfetto e inalterabile (sebbene generazioni diverse lo coniughino ciascuna a modo proprio), e ciò vale tanto per chi crede in un Essere Supremo ordinatore di tutte le cose, tanto per chi informa la propria vita all'osservanza di quegli ideali in quanto degni per sé stessi di guidare la vita dell'Uomo.
Laggiù, persi nelle nebbie della Storia più remota, lì dove la Storia propriamente detta e il mito s'intrecciano, gli unici riferimenti certi erano documenti e cronache di autori odiati da (quasi) ogni studente di ordine e grado, e poi i ritrovamenti più recenti di archeologi, sul cui lavoro storici avevano dedotto cose comunicate spesso solo in ristrette comunità scientifiche. La materia era insomma a un palmo dal naso, ma sulla copertina c'è un grande timbro rosso che dice “NOIOSO”!
Quella materia ho cominciato a sfogliarla coi mezzi a mia disposizione, e personaggi, eventi, vicende incredibili hanno superato un abisso temporale e hanno assunto ruoli in storie delle quali non avevo mai udito l'uguale, e che pure erano esattamente ciò che cercavo: cercavo una Napoli colta, nobile, orgogliosa del proprio operato, attenta al proprio popolo al punto di ricorrere ad astuzie e inganni per proteggerlo, non per approfittarne, e già l'avevo trovata nella vicenda narrata in Neapolis - Il Richiamo della Sirena.
Ora giunge I Signori dei Cavalli, che è sulla stessa linea. Anche quest'altro romanzo racconta che sì, è nelle nostre mani fare della nostra terra ciò che vogliamo che sia, perché così è già stato in passato.
Perciò, per rispondere alla domanda iniziale, “Perché Neapolis?”, perché quando a Napoli arrivarono i Savoia, e prima i Borbone, e prima gli Spagnoli, e più indietro gli Aragonesi, gli Angioini, i Normanni… questa città aveva già migliaia di anni di storia, ed è quindi lampante come il sole che è stata la città a dare lustro alle dinastie che l'hanno dominata, non viceversa.
Chiudo questo post con una notizia dall'editore: i due volumi in uscita il 25 gennaio, Neapolis - Il Richiamo della Sirena (nella nuova edizione riveduta e ampliata) e Neapolis - I Signori dei Cavalli, sono in preordine presso i principali bookstore in rete: chi lo desidera può già ordinare i due capitoli della lunga storia della sirena usando i link pubblicati in questo blog!

mercoledì 23 dicembre 2020

Neapolis, Kampanon, Italía

Nello scrivere un romanzo, che è pur sempre un'opera di fantasia, credo che ogni scrittore si proponga un obiettivo che non è solo comunicativo, ma anche stilistico. Non è importante solo il messaggio, ma anche come lo si comunica, perché gli strumenti usati sono essi stessi veicolo del messaggio.
Un esempio abbastanza lampante di quest'affermazione ce l'offre la musica, capace di trasmettere stati d'animo con la semplice scelta di un tempo, e infatti nell'opera classica incontriamo i termini grave, allegro, vivace e vivo con diverse loro varianti, tutte indicanti un ritmo, ma riferibili benissimo a uno stato d'animo.
Già nella prefazione a Neapolis - Il Richiamo della Sirena avevo chiarito che uno degli obiettivi che mi sono prefisso coi miei romanzi è la riscoperta di momenti alti sebbene in larga parte dimenticati della storia di Napoli e della Campania. Da un lato non volevo rinunciare a dare una componente fantastica a questi romanzi, per motivi più o meno immaginabili e altri più personali, e sui quali mi riprometto di tornare per non perdere ora di vista l'obiettivo di questo post; dall'altro questa componente andava assolutamente bilanciata con la realtà storica degli eventi narrati, o avrei del tutto vanificato il mio intento dichiarato: chi avrebbe mai creduto alle vicende di un romanzo di pura fantasia? Non potevo insomma permettere che proprio il mio scrivere volesse dire: “Opera di pura fantasia, come autocertificato dal loro autore”!
Credo che lo sforzo di cercare continuamente quest'equilibrio tra il lato storico e quello fantastico sia premiante per l'opera, che acquista profondità mentre tento di coniugare e armonizzare questi due poderosi motivi creativi: unirli e non contrapporli è ciò che a mio parere rende unici questi romanzi, e credo anche che conferisca loro un'identità sfacciatamente napoletana, in perenne tensione tra un passato palpabile quotidianamente nelle onnipresenti credenze popolari, e un futuro sempre anelato e predicato come la porta del riscatto di una città che è stata avanguardista per secoli.
Riscoperta di momenti storici, dunque, ovvero di fatti realmente avvenuti. Ma i romanzi, anche quelli puramente storici, devono così tanto alla fantasia che è obiettivamente difficile convincere il lettore della verità di quanto si scrive senza altro strumento che la narrazione, anche perché la narrazione è spesso così incredibile che mette essa stessa in dubbio la veridicità delle vicende eposte.
Tra scrittore e lettore esiste però una specie di patto, segreto e non scritto, che i critici hanno codificato e al quale hanno dato un nome, la “sospensione dell'incredulità”: un artificio tecnico dello scrittore che fa leva sulla predisposizione del lettore a seguire la narrazione che quello gli propone. Non sono in grado di farne un'esposizione scientifica ed esaustiva, ma è chiaro che il lettore di una fiaba si trova in un tale stato mentale quando accetta e segue una narrazione di draghi, ad esempio. Per i miei romanzi, la sospensione dell'incredulità non era uno degli obiettivi, ma uno dei principali!
Quando riesce bene, la sospensione dell'incredulità ha generalmente motivo d'essere per tutta la durata dell'opera, che può essere un libro, un film o un'opera teatrale. Un romanzo storico deve però avere un'ambizione più grande, deve andare oltre le proprie pagine, perché le vicende narrate non sono opere di pura fantasia. Il mio uso della sospensione dell'incredulità deve quindi seguire questa considerazione e diventare “induzione al dubbio”: volevo che, terminata la lettura, nonostante gli elementi fantastici contenuti nella narrazione, il lettore si ponesse seriamente il dubbio che tutta la narrazione fosse reale, perché questo sarebbe stato l'unico modo di accertarmi che sarebbe andato a verificare ciò che io avevo solo raccontato. Quel momento di indagine autonoma del lettore, e non l'acritica accettazione della mia personale narrazione era ciò che desideravo raggiungere!
In Neapolis - Il Richiamo della Sirena sono presenti numerose note a pie' di pagina che rimandano ai passi nei quali storici e archeologi, dai tempi della vicenda e fino ai giorni nostri, hanno scritto ciò che io mi sono spesso limitato a rimettere in bella forma e ad armonizzare in un'unica opera. Speravo che una tale quantità di evidenze avrebbe destato la curiosità dei lettori.
Neapolis - I Signori dei Cavalli è alquanto diverso dal primo romanzo. Sviluppato per celebrare l'azione eroica di un uomo del quale ci restano pochissime, concitate righe di Tito Livio, il racconto si svolge nella più ampia e opprimente narrazione del bellum hannibalicum, costringendomi così a un'operazione di certosino recupero di ogni minimo dettaglio che fossi in grado di reperire nella marea di eventi riportati dagli storici. In un certo senso, è stata una personale “campagna di scavi archeologica-narrativa”, come quando ci si imbatte nei resti di una fornace di duemila anni fa e, tra gli infiniti frammenti dei vasi andati in pezzi durante la loro lavorazione, si cerca di ricostruirne uno in particolare. Nessun museo proporrebbe una didascalia che spiega per filo e per segno il restauro di ciascun singolo frammento e la loro successiva ricomposizione, ma offrirebbe alla contemplazione del pubblico il vaso ricomposto, la spiegazione dei suoi motivi decorativi, perché il vaso e non l'opera di restauro sono l'oggetto della visita del pubblico.

Porzione della Tabula Peutingeriana che illustra la parte di Italia tra Puglia e Campania ai tempi di Augusto.

Neapolis - I Signori dei Cavalli ha raccolto queste considerazioni, e contiene assai meno note di quante ne contenesse il suo predecessore. I richiami? Una bibliografia raccoglie tutte le fonti che ho usato per realizzarlo, e non solo. Tra le appendici è anche inclusa una lista dei nomi, dal momento che questi sono cambiati nel tempo, spesso perdendo il contatto col loro significato etimologico: le persone non ricordano oggi perché i tali luoghi hanno tali nomi. Ripeto che tutto questo sforzo aveva il duplice obiettivo di attivare la sospensione dell'incredulità e rendere tangibile, reale, non solo realista la narrazione offerta, e siccome ogni nota a pie' di pagina ha il potere di interrompere una narrazione come poche cose, e con essa ogni sospensione dell'incredulità faticosamente raggiunta, ho preferito condensare nelle appendici i richiami alle fonti dell'opera.
Quanto si può rendere reale un romanzo? Avrebbe senso proporre tavole illustrate come accade con alcuni libri per ragazzi? La domanda è risposta a sé stessa: no, perché automaticamente il romanzo verrebbe etichettato come “per ragazzi”, cosa che chiaramente non è. L'unica eccezione a questa regola sarebbe stata qualcosa di palesemente colto (sebbene la cultura di molti ragazzi superi notevolmente quella di molti adulti), un documento dell'epoca intelleggibile ancora oggi. La Tabula Peutingeriana, che chiude il volume, ha queste a altre caratteristiche.
È una mappa dei luoghi, un tratto di unione tra quel tempo e il nostro che dimostra come i luoghi dei quali scrivo siano esattamente gli stessi che noi calchiamo oggi. La mappa originale fu probabilmente fatta realizzare da Marco Vipsanio Agrippa, il genero di Augusto, per illustrare la rete viaria pubblica dell'impero. Alla morte dell'imperatore, la carta fu incisa nel marmo. Nel tempo, copie della carta furono realizzate, e quelle in nostro possesso discendono tutte da un'unico esemplare del XII-XIII secolo dato a conoscere dall'antiquario del '500 Konrad Peutinger, oggi ospitato presso la Hofbibliotek di Vienna, e posto nel 2007 dall'UNESCO nel Registro della Memoria del mondo.
La mappa non è geograficamente esatta, indica le distanze tra le località giacché Augusto aveva realizzato il riordino della rete viaria romana, ma a una prima occhiata è difficile trovare un'immediata somiglianza tra il suo contenuto e le carte moderne. Il nord, ad esempio, è alla destra della mappa.
Dal momento che i fatti narrati in Neapolis - I Signori dei Cavalli si sono svolti per lo più tra Campania e Puglia, il volume offre una riproduzione della porzione della mappa relativa a questa regione. Non mancano dettagli che spero sorprenderanno piacevolmente il lettore, e vorrei commentare quelli che sono già stati pubblicati mediante diverse fonti.
La prima immagine di questo post raffigura la mappa a corredo del volume nella sua interezza: essa raffigura parte dell'Italia da Terracina a Salerno sul versante tirrenico (parte inferiore della mappa) e da Vasto (Istonium) a Brindisi su quello adriatico. In questa porzione dello stivale si mosse Annibale tra il 214 e il 216 a.C.
Una bellissima foto, molto evocativa, è la seconda, già circolata sul web, dove sono indicate alcune delle località principali dell'azione del romanzo: l'immagine è centrata su Capua, la nota sede degli “ozi” (dei quali ho già estesamente scritto), intorno alla quale sono visibili Puteolis, Calatie, Suessula, Atella e, ovviamente, Neapolis. Sul monte alle spalle di Capua non si legge completamente la dicitura “Castra aniba(lis) - Iovis Tifatinus”.

Dettaglio della Tabula Peutingeriana nella regione tra Capua e Neapolis, come sarà offerta a corredo di ogni copia di Neapolis - I Signori dei Cavalli.

Immediatamente, nomi di oggi e del tempo si confondono, diventano estranei eppure evocativi. È il caso di Calatia, Suessula e Atella, all'epoca degne di apparire su questa mappa, e che oggi godono di assai minor fortuna. Eppure, Atella è stata la patria di un genere di commedia (l'atellana) che ha avuto un enorme successo in epoca romana, e alla quale vengono attribuiti tutta una serie di motivi e caratteristiche di quella che è poi diventata la grande tradizione del teatro comico napoletano. Di questa città sappiamo che diede i natali a diversi personaggi di una certa rilevanza, a massimi magistrati della federazione campana durante la guerra di Capua contro Roma al tempo dell'alleanza con Annibale, ma le sue rovine non sono oggi meglio individuate nel territorio tra Frattaminore, Orta di Atella, Sant'Arpino e Succivo.
Suessula era un nodo commerciale di una certa importanza posto in località Calabricito, nell'attuale comune di Acerra, lungo la strada che conduce a Nola. Di esso restano gli scavi posti accanto alla Casina Spinelli, che ha raccolto gran parte dei reperti della zona scoperti dall'800 alla Seconda Guerra Mondiale. Al termine del conflitto, i reperti furono donati al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dove costituiscono la Collezione Spinelli.
Calatia, oggi posta nel territorio di Maddaloni, al confine con San Nicola la Strada, fu una città fortificata etrusca, campana e poi romana posta lungo la Via Appia. Non grandissima per dimensioni, ebbe rilevanza strategica e politica, e i suoi resti sono oggi raccolti nell'interessante Museo Archeologico di Calatia, aperto solo nel 2015.
Nella stessa zona la mappa riporta una gran quantità di ulteriori toponimi: Herclanum, Oplontis, Stabios, Pompeis, Surrento, Templ. Minerve, Nola, Nucerie, Caudio, Benevento, Avellino, Cajatie, l'attuale abbazia benedettina di Sant'Angelo in Formis (ad Diana), Syllas, Adlefas, Casilino, Cale, Teano Sedicino, Telesie, Literno, Cumas, Vulturno, Ad Nonum, Sinuessa… Sarà facile riconoscere alcuni luoghi, meno facile altri, eppure lo sforzo premierà chi lo affronti, gratificandolo col sapore della scoperta di un'antichità forse ignota ai più.
Quest'antichità, che indica un'organizzazione e uno sviluppo difficilmente contrastabili altrove a quel tempo, è ciò di cui dovremmo essere orgogliosi noi campani, e non tanti primati di dubbia consistenza, perché l'orgoglio ha valore solo per ciò che si è o si ha, non per un obiettivo raggiunto da qualcun altro, fosse anche nostro padre! Quest'antichità è il tesoro che abbiamo e che dobbiamo imparare a tenerci stretto perché unico al mondo, e per raggiungere quest'obiettivo è nostro dovere pretendere programmi educativi più specifici, un'istruzione più robusta, seria, profonda, un'apertura a collaborazioni culturali e la realizzazione di progetti per la promozione di tutto il territorio, probabilmente uno dei pochi al mondo che potrebbe davvero vivere di un turismo facoltoso e di qualità.

lunedì 2 aprile 2018

Collaborazioni

Non me ne vogliate: tornato in Italia (non è un Paese per fisici), sono stato totalmente assorbito in una serie di “vicende” che mi hanno portato nuovamente all'estero. Vi scrivo da Barcellona, dove posso impiegare le mie competenze professionali.
I Signori dei cavalli non si è fermato mai del tutto, ma anche lui ha risentito pesantemente di questa parentesi italiana, che ora sta per chiudersi, stranamente, proprio lì dove ho cominciato a scrivere Il Richiamo della Sirena.

lunedì 20 luglio 2015

Gli Ozi di Capua - secondo Polibio

La settimana scorsa abbiamo finito di raccogliere le idee sull'attendibilità di Tito Livio quando ci narra degli Ozi di Capua, e siamo giunti alla conclusione che possiamo probabilmente considerare l'episodio come inventato di sana pianta dalla propaganda romana.
Quello che manca per esser certi di una simile affermazione è magari una testimonianza dall'altro punto di vista, quello cartaginese, ma sappiamo come andò a finire…
Sul promontorio di Hera Lacinia, nei pressi di Kroton, anticamente esisteva un tempio dedicato per l'appunto a Giunone, e che era molto venerato da tutti i popoli dell'antichità. Lasciando l'Italia per correre in soccorso della sua Cartagine, ormai minacciata dall'esercito romano guidato da Scipione, Annibale lasciò nel tempio qualcosa di immensamente prezioso: il diario della sua avventura in Italia inciso su di una colonna.
Resti archeologici di Capo Colonna

I resti del Tempio di Hera Lacinia a Capo Colonna. Qui Annibale lasciò un diario della propria impresa italica prima di tornare a Cartagine per difenderla da Scipione.
Fonte: Wikimedia Commons

mercoledì 15 luglio 2015

Gli Ozi di Capua: dopo Capua

La settimana scorsa abbiamo cominciato col mettere in dubbio le parole di Livio a proposito dei famosi Ozi di Capua, e abbiamo trovato nelle pagine dello stesso autore episodi che ci parlano di un Annibale incapace di prendere con le sole armi cittadine di modesta entità anche prima della sua permanenza a Capua. In questo post cercheremo di vedere cosa accadde dopo i famigerati Ozi.
Quando il tempo si fece più mite, Annibale guidò il suo esercito fuori dei quartieri d'inverno e marciò nuovamente su Casilinum.

[Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXIII, 19]

lunedì 29 giugno 2015

Il tradimento di Capua (parte IV - Guerra in Campania)

Nell'ultimo post abbiamo raccolto indizi dell'enormità del tradimento campano: i notabili di Capua tentarono addirittura di approfittare dei rovesci di fortuna di Roma per ottenere che almeno un console fosse un campano.
Per quanto altisonante, ogni notizia va attentamente vagliata affinché una semplice diceria, spesso originata dalla propaganda del vincitore, non divenga ciò che non è, non assuma il rango di verità.
Dubitiamo, dunque, di quanto abbiamo narrato fin qui, e vediamo cosa accadde all'indomani del tradimento di Capua. Come si comportò questa città, suppostamente affrancata dall'arrogante dominio di Roma? L'obiettivo è valutare la consistenza delle accuse mosse dalle fonti filoromane partendo da altri eventi, dimodoché sia possibile cogliere un quadro d'insieme coerente o meno. Tralascerò per il momento ogni menzione dei famosi ozi che, come già promesso, tratterò in un prossimo post.
Cominciamo col dire che l'inverno del 216 a.C. Annibale lo trascorse coi suoi uomini a Capua o nei pressi, e uscì dalla città prima che giungesse la primavera del 215.

lunedì 22 giugno 2015

Il tradimento di Capua (parte III - L'esecuzione)

Terza parte di questa serie di post “complottisti” e senza immagini.
Sembra davvero incredibile che non si riescano a trovare fonti iconografiche relative agli eventi che sto riportando, ma ciò dovrebbe far riflettere sul fatto che questi sono così scarsamente considerati. Dubito che essi siano poco noti, perché le fonti letterarie sono della massima rilevanza, credo però che il punto di vista da me scelto, quello dei popoli campani, sia stato trascurato perché l'epopea di Capua è stata del tutto trascurata accanto alla grande guerra tra Roma e Cartagine.
Se vogliamo, lo stesso accade con la presa di Siracusa e la ri-presa di Taranto, contemporanee a questi eventi, ma quanti sanno collocarle esattamente nello schema più grande della Seconda Guerra Punica?
Ciò detto, riallacciandoci ai post precedenti, dopo aver mostrato che possiamo trascurare una chiave di lettura anti-imperialista del tradimento campano, abbiamo raccolto una serie di elementi che dimostrano tutta la cattiva fede di Capua nei confronti di Roma.

lunedì 15 giugno 2015

Il tradimento di Capua (parte II - Il progetto)

Innanzi tutto, devo attribuire la scarsezza di immagini di questi post alla mancanza di fonti iconografiche: potrei probabilmente trovare qualche immagine per il piacere degli occhi, ma preferisco inserirle se davvero aggiungono qualcosa alla discorso svolto nel post.
Nello scorso post ho cominciato a dissipare quelle che possono essere le tradizionali accuse rivolte a Roma per giustificare la rivolta di Capua durante la Seconda Guerra Punica. Se dunque la responsabilità di un simile atto non può essere addossata all'Urbe, cosa ci rimane?
Per formazione, sono una persona che non rifugge dalle proprie responsabilità, e invito tutti i nazionalisti sfegatati, gli ultras del territorio, a fare lo stesso e a seguire questi post perché, ancora una volta, vedremo che sono più di duemila anni che le persone di potere della nostra terra si comportano sempre alla stessa maniera.
So bene che le fonti alle quali attingo sono ovviamente di parte e filoromane, ma vedremo che la storia da esse riportata ha quella coerenza che è tipica della realtà, e non quella eccezionalità che è invece delle versioni ex post.
Conosceremo i nomi di diversi Capuani del tempo, a sottolineare che non possiamo neanche additare le colpe di questo misfatto a una sola persona, ma il principale artefice del tradimento a Roma viene individuato in Pacuvio Calavio. Di lui, Livio ne fa un ritratto con luci e ombre:

giovedì 21 maggio 2015

La Mater Matuta

Giacché nell'ultimo post ho abbordato alcuni aspetti della religione a Cartagine, questa settimana mi pare coerente proseguire sul tema parlando di una particolare divinità italica e campana: la Mater Matuta.
Viso di una mater matuta

Dettaglio di una mater matuta esposta presso il Museo Campano di Capua.

Poche divinità, credo, possono esemplificare meglio come la memoria umana sia labile, perché la mater matuta era tanto venerata al suo tempo quanto è misteriosa oggi.
Che fosse molto venerata ai tempi della Roma repubblicana lo sappiamo dall'enorme quantità di reperti diffusa in tutta la penisola italiana, e tutti raffiguranti lo stesso soggetto: una matrona seduta su di un trono, che regge in grembo, appoggiati alle braccia, diversi neonati in fasce.
Il soggetto è forse diffuso in tutt'Italia, ma per avere un'idea della profonda devozione che si nutriva per questa dea bisogna recarsi presso il Museo Archeologico Campano di Capua, che ha dedicato a questa figura ben cinque sale del suo spazio espositivo.

giovedì 14 maggio 2015

Quel "Baal" nel nome di Annibale

Busto di Annibale conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Questo è un post telefonato.
Qualche tempo fa ho ricevuto un'e-mail da un amico di vecchia data (ciao, Fabio!), nella quale mi chiedeva se, nel nuovo romanzo, avevo indagato l'aspetto religioso in Annibale e nei cartaginesi, e tutto ciò che ne deriva.
Ovviamente, la risposta è sì: come potevo dare personalità ai miei personaggi senza cercare di immedesimarmi in essi e valutare ogni aspetto delle loro vite? Ma siccome il romanzo non è un trattato di religione comparata, l'aspetto religioso può entrarci solo se il personaggio lo vive.
Nondimeno, il discorso è interessante per molti motivi, dunque ecco un post dedicato al sentimento religioso dei cartaginesi (e a Fabio, il mio amico, naturalmente).

giovedì 7 maggio 2015

La guerra di Annibale (III parte) - I prigionieri

Negli ultimi due post abbiamo prima sfatato il mito di un Annibale dotato di tutti i tratti di un nemico crudele ed esperto nella sola arte della guerra (praticamente, il ritratto degli storici filoromani), poi abbiamo raccolto evidenze di un comportamento assai accorto alla diplomazia nel conflitto tra Cartagine e Roma. In quest'ultimo post rafforzeremo ulteriormente quest'aspetto raccogliendo aneddoti sul comportamento di Annibale coi prigionieri.
Le alleanze di Roma non si sarebbero scardinate solo perché Annibale vinceva grandiose battaglie: dietro le loro mura, anche piccole colonie potevano tener testa al suo esercito. Come convincere alleati così fedeli a deporre le loro armi, a terminare le loro ostilità?

mercoledì 15 aprile 2015

Il ruolo strategico della cavalleria nella Seconda Guerra Punica

Nei post passati abbiamo cercato di valutare la qualità delle forze di cavalleria durante il conflitto librato da Annibale contro Roma. Ma perché Annibale decise di usare la cavalleria contro Roma? E la sua scelta era fondata e si rivelò vincente?
Come abbiamo visto soprattutto nel post sulla cavalleria numidica, la risposta alla prima domanda è scontata: non è la cavalleria in sé che Annibale cercava, ma un'arma dotata di rapidità e forza sufficienti a scompaginare e sbaragliare la fanteria di Roma. I numidi erano rapidi quanto basta, Annibale ne prese con sé un numero sufficiente per dotare il proprio esercito di quella potenza d'impatto che egli riteneva necessaria.
Alcuni dei presupposti sui quali egli fondò la sua scelta erano però sbagliati: c'era un motivo per il quale i Romani non avevano ancora sviluppato una forza di cavalleria degna dei reparti di fanteria, ed era l'orografia della penisola italiana.

In questa mappa sono poste a confronto l'orografia di Nord-Africa, Spagna e Italia. Delle tre regioni, la penisola italiana è certamente la più geologicamente tormentata.

sabato 11 aprile 2015

La cavalleria campana

Per molti sarà forse una sorpresa, ma in questa ridda di nomi altisonanti che abbiamo scambiato negli ultimi post (greci, romani, cartaginesi, numidi), trova la propria giusta collocazione un popolo del quale la storia così come ci viene insegnata sembra dimenticare quasi tutto: i Campani.
Quando ho affrontato la stesura de I signori dei cavalli, credevo che la morte di Hegeas avrebbe chiuso la vicenda: è un momento clou, alto, dove lo spirito di sacrificio splende in gloria, e il resto delle annibaliche vicende può sfumare nel sozzo sgozzume di una guerra.
Nessun'opera finisce però di punto in bianco, ed è proprio subito dopo il tentato assalto a Neapolis che invece cominciava la vicenda che fa da contraltare alla dimostrazione di lealtà di Neapolis: il tradimento di Capua.
Mappa della Campania al termine del III sec. a.C.

Mappa della Campania al termine del III sec. a.C.
Fonte: August Mau, Pompeii, Its Life and Art, 2013

mercoledì 8 aprile 2015

La cavalleria numidica di Annibale

Non si può parlare della cavalleria romana e denigrarla, per scarsa che fosse la sua consistenza e la sua capacità militare, senza confrontarla con il suo contendente principale, la vera forza con la quale Annibale tenne in scacco le forze di Roma per ben vent'anni: la cavalleria numidica.
Annibale fu un grande generale, certamente studiò bene il suo avversario prima di affrontare la pazza avventura in italia, e individuò tutte le debolezze e i punti forti della potenza romana. Sfruttare le prime e scardinare i secondi fu il suo tentativo, e non fu del tutto colpa sua se non riuscì a condurre a compimento le sue intenzioni.
Ma dedicheremo un altro post a studiare in dettaglio la strategia Annibalica. Oggi ci limiteremo ad analizzare l'arma che diede ad Annibale la supremazia militare per molti anni sui campi di battaglia, e che fece tremare Roma: la cavalleria numidica.
Con la fuga da Tiro nell'VIII sec. a.C. e la fondazione di Cartagine, i futuri dominatori del Mediterraneo si erano isolati in un territorio del quale sapevano solo ciò che i loro traffici avevano permesso di conoscere. I nuovi vicini sarebbero stati amichevoli? Ostili? Dalla loro avevano l'abilità mercantile, il numero era contro di loro.
Non fa meraviglia, dunque, se l'esercito cartaginese fosse tradizionalmente un esercito composto in gran parte da mercenari che sopperivano per denaro alle necessità difensive della città. Tra questi vicini, i numidi erano massimamente versati nella cavalleria.

Le sfere d'influenza romana e cartaginese allo scoppio della Seconda Guerra Punica. Evidentemente, Cartagine poteva contare su milizie di molti Paesi.
Fonte: Wikipedia Commons, con licenza Creative Commons Attribuzione 2.5 (CC-BY-SA-2.5).

sabato 4 aprile 2015

La Cavalleria a Roma

Dopo il post di sabato scorso, cominciamo a confrontare le diverse forze che incontreremo nel romanzo I signori dei cavalli, partendo da coloro che infine riuscirono vincitori dal conflitto: i Romani.
I signori dei cavalli ha come motivo portante la ricerca e la riscoperta della cavalleria, ed è stato sorprendente trovare episodi che sembrano presi dalle chansons de geste piuttosto che da autori classici, come le sfide a duello in singolar tenzone, con tanto di lancia, tra cavalieri romani e capuani.
Ma prima di addentrarci in tali stranezze, è bene fare un quadro chiaro della cavalleria all'epoca dei fatti narrati: quanto era importante negli eserciti? Che ruolo aveva? Chi erano i cavalieri?

Moneta romana al tempo della seconda guerra punica o immediatamente successiva (210–175 a.C.) che mostra sul recto il dio Marte con barba ed elmetto corinzio crestato e sul verso probabilmente la prima immagine di un cavaliere romano di epoca repubblicana con la dizione (L)ADINOD. Da notare l'elmo con pennacchi di crine di cavallo, una lunga lancia (hasta), un piccolo scudo (parma equestris) e un mantello fluttuante. Quincunx di bronzo della zecca di Larinum.
Fonte: Wikimedia Commons, licenza Creative Commons 3.0

sabato 28 marzo 2015

Hegeas Hipparchos

Giunto reduce da Canne vittoriosamente, Annibale tenta di assalire una città della costa, Neapolis, tentando di far cadere in un'imboscata le difese della polis.
L'anno è il 216 a.C., 30'000 uomini al comando del Cartaginese hanno fatto a pezzi un esercito monstre di 80'000 tra romani e alleati in una sola giornata nonostante, è bene ricordarlo, ci siano voluti ben otto mesi al Punico per prendere Sagunto, con tutti i rinforzi e le macchine d'assedio delle quali disponeva in Spagna. Quest'osservazione serva a mettere nella giusta luce la differenza che c'era all'epoca tra una battaglia campale e un assedio.
Invece di restare al sicuro dietro le mura (a lasciar cader pietre sugli assedianti), il comandante di cavalleria di Neapolis, al quale saranno rimasti sì e no trecento uomini, visto che molti erano caduti nelle precedenti battaglie dei Romani contro lo stesso nemico noto per astuzia, tecnica e consistenza numerica, si getta all'inseguimento di un gruppo di Numidi che fanno finta di saccheggiare il contado neapolitano, inoltrandosi “incautamente” (è il commento di Tito Livio che abbiamo riportato nello scorso post) in una serie di strade molto profonde (che lui, da comandante di quella stessa città, ovviamente non conosce…) poste a Nord della polis.
Vistosi perduto, invece di tornare verso la polis, il drappello supera gli acquitrini a oriente della stessa per cercare salvezza sulle imbarcazioni dei pescatori che in quel momento erano nel mare…

La Neapolis greco sannita del III sec. a.C. sovrapposta alla città attuale: a nord di Via Foria salgono colline con profondi letti di torrenti, già anticamente usati come strade. L'attuale Piazza Garibaldi, dov'è la Stazione Centrale, era paludosa fino al mare, a sud.
Mappa realizzata con Scribblemaps.

mercoledì 25 marzo 2015

Come è nato “I signori dei cavalli”

La fonte principale sull'assalto di Annibale a Neapolis è ancora una volta Tito Livio. Leggiamo il passo XXIII, 1 del suo Ab Urbe Condita per avere una prima versione dei fatti.
Subito dopo la battaglia di Cannae e la cattura e il saccheggio dell'accampamento romano, Annibale lasciò l'Apulia alla volta del Sannio, in seguito all'invito ricevuto da un tale chiamato Stazio Trebio, che aveva promesso di consegnargli Compsa se avesse visitato il teritorio degli Irpini.
[…] Lì Annibale lasciò tutto il bottino e il bagaglio, poi divise l'esercito in due divisioni, diede a Magone il comando di una e mantenne l'altra per sé. […] Lui stesso marciò attraverso il distretto campano verso il Mare Inferiore (il Tirreno) prevedendo di aggredire Neapolis in modo da avere una città accessibile dal mare.
Entrato nei confini di Neapolis, pose alcuni dei suoi Numidi in imboscata ovunque lo ritenesse conveniente, perché lì le strade sono per la maggior parte profonde, con molti tornanti nascosti. Agli altri ordinò di cavalcare fino alle porte conducendo innanzi a loro ostentatamente il bottino che avevano raccolto nei campi.
Siccome sembravano una forza piccola e disorganizzata, una truppa di cavalleria venne loro incontro, che fu attratta dai Numidi in ritirata nell'imboscata e circondata.
Non si sarebbe salvato un solo uomo se non fosse stato per la vicinanza del mare e per alcune imbarcazioni, per lo più da pesca, che essi videro non lungi dalla riva e che fornirono una via di fuga a coloro che erano buoni nuotatori.
Molti giovani nobili, comunque, furono presi o uccisi nello scontro, tra essi Hegeas, il comandante della cavalleria, che cadde mentre inseguiva troppo incautamente il nemico che si ritirava.
L'aspetto delle mura distolse il Cartaginese dall'attacco della città: esse non offrivano alcun appiglio per un assalto.

domenica 22 marzo 2015

Annibale (e non ce lo volevo)!

Quando ho scritto Neapolis - Il richiamo della Sirena speravo ardentemente che, nell'affrontare eventuali futuri romanzi, non avrei mai dovuto confrontarmi con personaggi storici di grande rilevanza.
Per uno scrittore, il personaggio importante è difficile da trattare in un romanzo che parla d'altro (le mie opere hanno come obiettivo la storia di Napoli) perché tende a manipolare l'azione, ad accentrare l'attenzione su di sé, tende a diventare l'oggetto unico della curiosità del lettore che dimentica il resto.
Poi ci sono i motivi squisitamente storici: di un personaggio famoso tutti sanno tutto ma, soprattutto, ciascuno ha una propria idea, una propria opinione, e il margine per romanzare la sua azione viene terribilmente assottigliato, quando non scompare del tutto. Insomma, una bella gatta da pelare, con la quale non mi volevo assolutamente confrontare.

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